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296 viii - da «storia e fantasia»

e ’l tempo immane e morte la spaventa,
però che la comprende;
25anzi par che la senta
prima ancor del suo dí. Tu sulla verde
tua frasca mattineggi;
e non vedi che ’l ciel, le ripe intorno
e il pastor colla mandra, a cui non badi;
30ché te possiede il canto,
tua legge antica. Intanto
battagliano i mortali
sopra ogni plaga. In ciel qualche pianeta
consumando si va. Simili a foglie
35cadon le umane vite. E indifferente
le insepolcra l’obblio.
E la speme e l’error diversamente
mena le turbe. Addio,
addio, cantor soave.
40Forse dimán morrai privo d’affanno
e di sgomento. E il breve
loco de’ tuoi riposi
ignoreran le genti.
Di te chi mai s’avvede?
45Né il bosco rimarrá senza tuoi pari,
né l’alba, né la luna
senza i gorgheggi usati.
Ahi! perché v’ami alcuna
alma gentil, v’è d’uopo,
50augelletti dell’aria,
perder la libertá, dal colorato
carcere alzar la voce, e a chi vi pasce
il tedio consolar del dí che fugge.
Allor carezze e baci
55di bimbi e verginelle
vi piovon sopra; ché l’avara schiatta
nulla dá mai per nulla.
Né forse il duol vi preme