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Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/37

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canto terzo 31

poiché la rea fra le tradite braccia
tremò, chi tenta penetrar gli abissi
60dell’anima sviata? Ella sorride;
chiama, con voce piú soave, il nome
de’ suoi figli e d’Arrigo; e in una tinta
lieve di rosa s’incolora il lungo
pallor del volto. Piú profonda è fatta
65la battaglia del cor, che nessun vede,
ma che improvvisa ad or ad or balena
da un sospir divorato e da una fredda
stilla di pianto.
E Arrigo?... Egli si sforza
d’esser lieto, e non può. Ben come un dolce
70fantasma, che talor passa per l’ombre
d’un sogno tormentoso, ei si dipinge
la fé d’Edmenegarda; e l’accarezza
come il dormente quella bianca imago.
Ma, quasi mesta del notturno gelo,
75fugge la bella forma, e risepolto
nelle tenèbre il sognator sospira.
— Perché quest’ombra di sospetto a tergo
m’incalza sempre? Ma, se rea foss’ella,
come potrebbe sostener sol uno
80de’ baci miei, né di rossor morirne?
Avria sconvolto le sue leggi eterne
la natura ed il ciel? Come in sì breve
ora mutar l’angelico costume?
Io demente l’accuso; e chi sa quanto
85ella si strugge, e se de’ miei s’accorse
dubbi codardi! Io vigilai giá troppo,
né mai l’aspetto di colui m’apparve,
né ombroso un gesto, un moto io mai non vidi
d’Edmenegarda mia, di quella mite
90anima che talor si fea tremante
d’un mover lieve di notturna foglia.
d’un fior che le cadesse. Oh questa è colpa,