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34 i - edmenegarda

or son nicchia notturna alle selvagge
volpi, e per gli atri, ove suonâr le spade,
passa a staccar qualche frantume il vento,
160mentre in alto la bruna aquila ondeggia
e, il fulmineo serrando arco dell’ale,
precipita alla preda. A quei castelli
lambe le falde impaurito e passa
il viandante, e i colpi della scure
165sull’erma balza il legnaiuol sospende
ad or ad or: ché dentro alla solinga
magion de’ Savorgnani ode un feroce
ballo di morte, e lungo quelle sale
vede traverso i colorati vetri
170passar rossi fantasimi, agitanti
fiaccole e spade.
Anche il pensier d’Arrigo
dietro quelle sognate ombre correa.
Poi, riposando a fantasie gentili,
rammentava, o gagliarda Utino, l’opre
175del tuo Giovanni, che attingea dai labbri
del divin Raffaello il benedetto
soffio dell’arte che d’amor si pasce,
e cielo e terra, innamorando, crea.
E del merlato Spilimbergo intorno
180udìa sull’aura reverente i nomi
del Vecellio e d’Irene, ambo immortali.
E lá trovar tra i memori oliveti
giá gli parea la giovenil sua vita,
e di lá, le marine onde solcando,
185pregustava nel cor la inaspettata
voluttá dei ritorni.
E così volle,
e a la sua cara ne parlò. Sostenne
Edmenegarda, tra la gioia e il pianto,
quella battaglia, e ch’ei si rimanesse
190tremava: eppur lo scongiurò di starsi,