Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/188

Da Wikisource.

XVII

QUALCHE FAVILLA

Se non fosse che ancor mi riman viva
l’angelica farfalla in vecchie membra,
onde talvolta ritornar mi sembra
fancml di novo a la mia verde riva;
e quell’aura d’apr pur fuggitiva,
si mi scalda l’etá che s’indicembra,
che la penna, a ritrar quanto rimembra,
panni quasi fiorir piú che non scriva;
fors’io men canterei, se ciò non fosse
in dispetto a le Grazie; e’l tedio solo
smunto m’avrebbe le midolle a Tosse.
E invece, aprendo a la mia cuna un volo,
mandano ancor le ceneri commosse
qualche favilla: ond’io imi riconsolo.

XVIII

PLUTARCO

Quand’io mi guardo e si piccin mi trovo,
di virtú nudo e di miserie carco,
in man ti prendo, o mio vecchio Plutarco,
e vergogna gentil mi rifa novo.
E foro e campo a me sembra il mio covo,
e strali appunto dell’ingegno a l’arco,
c ardito e prode e dignitoso e parco
da me rinasco, come fior da rovo.
E, fissandomi a’ tuoi, mi sa d’acerbo
non pareggiarli; e l’anima sul calle
della gloria s’avventa, e n’ho terrore:
perocché dal mio sogno alto e superbo
cader mi tocca in disperata valle.
Misero atleta è, senza tempi, il core!