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XXIII

CELIA

La celia è fiore che spunta a bacio,
piú bel, se in ombra solitaria brilla:
eli * è frescura di tacito rio
in quella parte lá quando zampilla:
eli’è tripudio d’uccellin che trilla
dopo la pioggia sul ramo natio:
eli’è d’arcane ceneri favilla,
cara favilla, e ti conosco anch’io!
Quando il cor, di tristezze a sé men fabbro,
tregua del suo martir prende alcun poco,
tu mi baleni, o favilletta, al labbro.
Tu mi baleni, e via fuggi col vento;
ma, consolato del tuo dolce foco,
torna il cor, meno immite, al suo lamento.

XXIV

SER LIO

Fra le nuore ser Lio, mentre che avvampa di faggi a vegghia il focolar paterno, le man stropiccia; e novellando campa, ingannata la morte, un altro verno. Loda i costumi de l’antica stampa, trinca in ruvido nappo il suo falerno, e sul piè ritto e sul codin s’accampa, spargendo sali di piacevol scherno. Sindaco, e’ s’alza a primo suon di squilla, e, incurante di ghiaccio o di rovaio, va i casetti a raccór de la sua villa. Noie e balzelli ai sudditi sparagna: per trono un guscio, ed ha per manto un saio: pare un picciolo re de l’Alemagna. </poem>