Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/281

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85dimostrar se il mio sangue ha la favilla
del grande Achille. Intanto, áuspici i numi,
sovra l’ossa materne alta verdeggi
l’erba, e men tristi di Tissandro i mani
dorman sotterra. —
E, si dicendo, ei tolse
90reverente i congedi. Allegro in tutto
però, in tutto, ei non era. E, a liberarsi
da un cruccioso pensier che il compagnava,
cerco gli amici; ma domar non seppe
l’alta seguace cura. Al cesto, all’arco
95ricorse invano, e il calice spumante
del beato licor non ricondusse
l’allegria nel suo spirto: ond’egli, i passi
ritessuti, die’ volta al padiglione
del Pelide e sciamò:
— Sentimi, o grande
100mio germano e signor: quel che m’hai detto,
mentre i mici voti piú supeibi appaga,
m’attrista l’alma. In cortesia ti prego
dirmi che l’opra d’un ascoso iddio
nascer mi fece: tollerar non posso
105questo pensier, che la mia santa madre,
rompendo fede alle sue giuste nozze,
m’abbia concetto da non giusto amplesso. —
Un sottil vampo di rossor nel viso
corse all’eroe, ma raccontò:
— Varcato
110avea da tempo il pallido Acheronte
Amiclèa di Perimaco, la donna
del padre mio, che, poderoso e insigne,
fra i prenci di Larissa iva in quei boschi
cacciando i cavrioli, e in questa forma
115divertendo il pensier ria quegli affanni
ch’anco i (elici han seco. Ed una sera,
sopraffatto dal nembo, alla capanna