Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/301

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Ei mi dice che Febo, il biondo e bello
signor dell’armonia, padre a noi fu,
e ini giura che Marte è il mio fratello,
e gli altri dèi la mia superba corte,
85e lá dopo la morte
noi salirem per non lasciarci piú.
Anzi sarem due novi astri al notturno
padiglion dell’Olimpo; ed in beltá
forse a noi cederan Sirio e Saturno,
901 due Gemini, Urano, Espero e l’Orse
e la gran Lira; e forse
men superba di sé Venere andrá.
Qui frattanto nel mondo è nostra usanza
chiedere l’ombra a un mandorlo fedel,
95o sui rivi intrecciar magica danza,
o sulle fosse dei fanciulli estinti
falciar rute o giacinti,
quando scintilla il plenilunio in ciel.
È nostra usanza a mattutino il canto
100spargere nella valle o sul burron,
e, di rosso vestita o azzurro manto,
sempre nel guscio d’ebano, mi piacque
girar le terre e Tacque,
e dare ai miei fantasmi anima e suon.
105Ed ora il guscio d’ebano traete.
piccoli corvi, al nostro angusto asii;
e voi, stelle del ciel, voi risplendete
sopra le chiome della selva bruna;
e tu zampilla, o luna,
110sul vestibolo mio sparso d’aprii.