Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/327

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verecondo favella: il dio custode
20delle stirpi t’ascolta. Al tuo bisogno
conta il peculio e, poi ch’ogn’anno ha un verno,
pensa a’ foraggi, e t’erudisca il giro
della formica. Per imbratto o polve
si corrompe ogni panno e fin la nostra
25corporea veste: a’ roridi lavacri
dá’tu le membra, od Espero s’infiori
o splendan l’Orse: in Pindaro si legge
ch’ottima è Pacqua. Aspira aria con luce
sull’ora mattutina: ebbe in quell’ora
30nascimento l’Olimpo, e i gran disegni
spuntan da quella. In candide parole
appalesa il pensier, ma non usarne
di troppe mai: chi parla arguto e breve
domina i molti, ed a’ piú rari è in pregio.
35Contien’fra’ denti le sentenze tue
su cosa od uom: chi le riporta, ha spesso
falsi i ricordi o l’anima maligna.
Buona scorta al futuro è la speranza;
ma non dir quattro se non l’hai nel sacco,
40ché piú amaro del tosco è il disinganno.
Dimori alla cittá? Schiva la lupa
e lo strozzin, due detestati spettri
del mondezzaio; non lanciarti in lite
collo staffier, che l’insolenza impara
45dal suo matto padrone. Abita in parte
non invasa da tempo e da ruina
se la notte non vuoi tenia né topo
sentir nel muro o coccoveggia ai tetti.
Sosta a’ pilastri, ov’è stampato il senno
50del municipio, e a’ consoli tardivi
scarso t’affida; e, quando giungi a sera,
fortemente asserraglia il tuo penate,
ché quanti ha la cittá fornici e bische,
tante ha cerne di ladri e mozzorecchi.