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PRATO 35

la grazia pensosa del sorriso ce la fanno amare ed ammirare. Giuliano e Giovanni lavorarono al gruppo marmoreo della Pietà, scolpito in rilievo sul basamento, e v’infusero uno spirito e una rudezza quasi donatelliana. Così tutta l’angoscia del dolore non trova pace che nel sorriso della buona Madonna. Qui nella chiesa il contrasto bisogna un po’ studiarlo; ma ai passanti lungo la via campestre esso deve aver parlato con eloquenza di fede.

Il centro della città conserva nel Palazzo Pretorio quelle salde note medievali che, per l’architettura civile, vanno riunite a’ grigi baluardi delle carceri e al cerchio ferrigno delle mura lungo il Bisanzio pietroso pur ricordato da Dante. Tutti i tempi e tutti i capricci degli uomini hanno impresso nel palazzotto il loro segno. Solo è volgare che persianine verniciate vi si aprano stridendo; e un religioso sentimento estetico potrebbe ispirare la riapertura di alcune bifore eleganti.

Sotto la calce moderna tutto è scomparso del Palazzo Municipale prospiciente. E da certi avanzi, esso non fu più moderno di quello Pretorio. Ma tutto è rifatto, trasformato integralmente. Solo il Salone del Consiglio, traverso gli abbellimenti del seicento e i restauri del 1873, si mostra dignitoso, con un respiro di antica bellezza. La parete di faccia all’ingresso ha rivelato due affreschi di mano e di bontà diversi. A destra la Madonna col Bambino in grembo, tra Giovanni e Stefano: due angioli in alto alzano una cortina; sotto, altri due reggono lo stemma degli Aldobrandini. E però anche per questo particolare la pittura risale alla seconda metà del trecento.

Nell’affresco a sinistra è la Giustizia, chiusa in un fregio ornato di stemmi e di tondi. I simboli, bilancia e spada, sono pinti a parte in alto, su fondo rosso sparso di gigli. La Giustizia è seduta, in atto di coronare un pattino. E la maestà delle figure, e il disegno più corretto, e la coloritura più larga la possono dire opera di Antonio Viti, rispetto all’altro affresco più giottesco e convenzionale.