Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/109

Da Wikisource.

101

ca te l’afferra, e lo strozza. Pedanti, si grida, pedanti; questo fragore, e questa tenebrosità sono il bello e il nuovo dell’arte. Terra, terra, ripete la critica; ed ha ragione.

Non meno importante è la lezione che se ne cava per gli uomini tutti. Udite artifizio di chi vuol lacerare con qualche sicurtà la riputazione di un tale. Primieramente te lo leva alto da terra, vorrebbe ch’ei fosse da più che un angelo; ciò fatto non ha che un passo per giugnere a capo di mostrartelo poco meno che dimonio. Licisca? Essa che avrebbe sortito tali e tali altri pregi, ch’ebbe tali e tali altre favorevoli opportunità di riuscire esemplare in ogni cosa... ebbene? Essa invece — e qui fuori difetti che sono proprii di mezzo mondo, e non farebbero colpo sull’animo degli uditori senza quell’artifizioso esordio delle mirabili disposizioni di Licisca, e di ciò che il mondo aveva ragione di ripromettersi da una tal donna. Udendo pertanto il mio nome sulla bocca a questi Ercoli della maldicenza: piano, direi loro, lasciatemi in terra, non mi levate alto. Io sono fango, fango vilissimo, e niente più. Giudicate de’ miei difetti, ma in ragione del povero mio naturale: non mi attribuite natali celesti, mi ha generato la Terra, madre comune di tutti gli uomini. Non sono, come voi altri, prole di Giove; il mio concepimento non ha messo a soqquadro l’Olimpo, e tocca di gelosia la sovrana dei numi. Credete che l’Ercole volesse badarmi? Egli mi vuol le-