9 Rinaldo quando vide la donzella,
Tentato fu di farla alla franciosa2;
A Ulivieri in sua lingua favella:
Quant’io non vidi mai più degna cosa.
Disse Ulivieri: E’ non è in cielo stella,
Ch’appetto a lei non fussi tenebrosa.
Rinaldo presto rispose: Io t’ho inteso,
Che ’l vecchio foco è spento, e ’l nuovo acceso.
10 Non chiamerai più forse, come prima,
La notte sempre e ’l giorno Forisena,
Ch’ad ogni passo ne cantavi in rima:
Non sente al capo duol chi ha maggior pena;
Veggo che del tuo amor l’hai posta in cima,
E se’ legato già d’altra catena.
Ulivier disse: S’io vivessi sempre,
Convien sol Forisena il mio cor tempre.
11 Eron3 saliti già tutta la scala,
E grande onor da quella ricevuto;
Che insino a mezzo gli scaglion giù cala,
E rendutogli un grato e bel saluto:
Intanto Caradoro in su la sala
Con tutti i suoi baroni era venuto:
Rinaldo e gli altri baciaron la mano,
Come è usanza a ogni re pagano.
12 Fece ordinar di subito vivande,
E’ lor destrier fornir di strame e biada;
Per la città la lor fama si spande,
E per vedergli assai par che vi vada:
Venne la cena, e fuvvi altro che ghiande.
Ulivier pure alla donzella bada;
Poi che cenato fu, re Caradoro
In questo modo a dir cominciò loro:
13 Io vi dirò, famosi cavalieri,
Quel che ’l mio cor da voi desia e brama:
Per tutt’i nostri paesi e sentieri
Dell’oriente risuona la fama
Di vostra forza, e de’ vostri destrieri,
E questa è la cagion che qua vi chiama.
Come vedete, ogni campagna è piena
Di gente qua per darci affanno e pena.