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canto settimo. 125

34 E disse: Va, ch’io ne son ben contento;
     E poi si volse ove Carador era,
     E sì dicea: Questo ragionamento
     So che saranno parole da sera,14
     Che come fumo ne le porta il vento;
     O distruggonsi al Sol qual neve o cera;
     A me par, Caradoro, da vedere
     Quel che fa il campo e le Pagane schiere.

35 Se per sè stessi si dipartiranno,
     Lasciagli andar, che mi par più sicuro;
     Però che sempre è nel combatter danno,
     E solo Iddio sa il tutto del futuro:
     Vedrem pur che partito piglieranno,
     E staremci doman qui drento al muro;
     Non si partendo il dì, poi gli assaltiamo,
     Chè in ogni modo te salvar vogliamo.

36 Poi ci darai la tua benedizione,
     E cercheremo ancor meglio il levante.
     E così disse Rinaldo e Dodone,
     E Ulivier, ma non v’era Morgante.
     Vannosi a letto con questa intenzione,
     Ch’avevon tutti cenato davante;
     E Caradoro avea massimo onore
     A tutti fatto e con allegro core.

37 Morgante avea mangiato quel che vuole,
     Un gran castron, che gli fu dato arrosto;
     Andossi prima a letto che non suole,
     Chè com’e’ disse fare era disposto;
     Nè prima in oriente appare il Sole
     L’altra mattina, ch’e’ si leva tosto;
     Prese il battaglio e certo fuoco in mano,
     Ed avviossi nel campo pagano.

38 I Saracin trovò ch’erano armati,
     Ma pure il fuoco in un lato appiccoe,
     Dov'eran i destrier sotto i frascati,
     Tanto che molti di quegli abbrucioe;
     Ma furon presto scoperti gli aguati,
     E in mezzo a più di mille si trovoe:
     E tutto il campo a furia sollevossi;
     Ognuno addosso al gigante cacciossi.