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canto settimo. 129

54 Punte, rovesci, tondi, stramazzoni,
     Mandiritti, traverse con fendenti,
     Certi stramazzi, certi sergozzoni,24
     In dieci colpi n’uccise ben venti;
     E chi partiva insin sotto agli arcioni,
     Chi 'nfino al petto, e ’l manco infino a’ denti;
     E le budella balzavan per terra:
     Mai non si vide tanta crudel guerra.

55 Orlando nostro sprona Vegliantino,
     Giunse d’un urto tra quel popol fello,
     Che più di cento caccia a capo chino;
     Poi cominciava a toccare a martello;25
     Non tocca il polso sopra il manichino;
     Facea de’ Saracin come un macello
     Ed avea detto: Non temer, Morgante;
     Cesare è teco,25a ove è ’l signor d’Angrante.

56 Queste parole avean sì sbigottiti
     I Saracin, ch' assai del popol fugge,
     E buon per que’ che son prima fuggiti,
     Tanto i nostri baron già ciascun rugge:
     E’ ne facean gelatine e mortiti;26
     Appoco appoco la turba si strugge:
     E Ulivieri e Dodon giunti sono
     Con romor grande, che pareva un tuono.

57 E Manfredonio in sul campo scontrava;
     La lancia abbassa, chè lo conosceva:
     Re Manfredonio il cavallo spronava,
     E Ulivieri allo scudo giugneva,
     E ’nsino alla corazza lo passava
     Tanto che tutto d’arcion lo moveva:
     E si gran colpo fu quel che gli diede,
     Ch’Ulivier nostro si trovava a piede.

58 Ed ogni cosa la donzella vide,
     Ch’era venuta con sua gente al campo,
     E fra sè stessa di tal colpo ride;
     Ulivier come un lion mena vampo,
     E per dolore il cor se gli divide,
     Dicendo: Appunto al bisogno qui inciampo;
     Caduto son dirimpetto alla dama,
     Donde ho perduto il suo amore e la fama.