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134 il morgante maggiore.

79 Quest’ ultima parola al cor s’affisse
     A Manfredonio udendo la donzella,
     Che mai più fermo in diaspro si scrisse:
     Volea parlare, e manca la favella;
     Ma finalmente pur piangendo disse:
     Aspetta tempo, e miglior fato e stella,
     Poi ch’al ciel piace, e tórnati in Soria;
     Quanto son vinto da tal cortesia!

80 Quando sará quel dì, quando fia questo?
     Or quel che non si puó, voler non deggio.
     Io tornerò, per non t’esser molesto;
     Ricórdati di me, ch’altro non chieggio:
     Col popol mio, con quel che c’è di resto,
     Chè molti morti pel campo ne veggio,
     Ritornerò sanza speranza alcuna,
     Nel regno mio, se così vuol fortuna.

81 E per tuo amor terrò questo gioiello,
     Questo sempre sarà presso al mio core:
     S’io ho peccato, lasso meschinello,
     Contro al tuo padre, contro al mio signore,
     Incolpane colui ch’è stato quello
     Che m’ha condotto dove vuole, Amore;
     E in ogni modo a te chieggio perdono,
     E viver per tuo amor contento sono.

82 E poi si volse al marchese Ulivieri,
     E chiese a lui perdon del cadimento:
     Ulivier gli perdona volentieri,
     Chè del suo dipartir troppo è contento,
     Perchè eran due gran ghiotti a un taglieri;
     Ed era stato alle parole attento
     Che dette avea Meridiana a quello,
     E confermato e postovi il suggello.

83 E poi ch’egli ebbe lagrimato alquanto,
     Re Manfredonio al fin s’accommiatava;
     E la donzella con sospiri e pianto,
     Addio dicendo, la man gli toccava:
     E dèi pensar se si cavorno il guanto.
     Ulivier presto Orlando ritrovava,
     E dicea ciò ch’egli avea fermo e saldo:
     E molto piacque ad Orlando e Rinaldo.