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162 il morgante maggiore.

8 Assai con teco abbiam fatto dimoro,
     Ed onorati da tua corte assai;
     La tua benedizion, re Caradoro,
     Dunque ci dona, e 'n pace rimarrai:
     Del tempo, che perduto abbiam, ristoro
     Sarà buon fare, e me’ tardi che mai;
     Qualche paese ancor cercar vogliamo,
     Prima che in Francia a Carlo ritorniamo.

9 Carador consentì la lor partita,
     E ringraziolli con giusti sermoni,
     Dicendo: Il regno mio sempre e la vita
     In tutto è vostro, degni alti baroni.
     Poi fe venir la donzella pulita,9
     E fece lor leggiadri e ricchi doni:
     Ma la fanciulla chiamò poi da canto
     Ulivier nostro, facendo gran pianto.

10 Dicendo: Lassa, io non ho meritato
     Che m’abbandoni, mio gentile amante;
     Dove lasci il cor mio sì sconsolato?
     Tu mi dicevi sempre esser costante,
     Or tu ti parti, ed io non so in qual lato
     Da te mi fugga, in ponente o in levante;
     E quel che sopra tutto m’è gran duolo,
     È del tuo sventurato e mio figliuolo.

11 Vedi che sola e gravida rimango,
     Sanza sperar più te riveder mai;
     Però del mio dolor con teco piango;
     Ma questa grazia mi concederai,
     Che poi che pur di duol la mente affrango,
     Con teco insieme me ne menerai:
     E in ogni parte ove tu andrai cercando,
     Ne vo’ con teco venir tapinando.

12 Ulivier confortava la donzella,
     E dice: Dama, e’ non passerà molto,
     Com’io son ricondotto in Francia bella,
     Ch’a te ritornerò con lieto volto:
     Però non ti chiamar sì tapinella,10
     Ch’io son legato, e mai non sarò sciolto;
     E ’l figliuol nostro, quando sarà nato,
     Per lo mio amor ti sia raccomandato.