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canto nono. 173

63 Diceva Orlando: Ecco Morgante nostro,
     Ed ha con seco gran gente pagana;
     E Caradoro grande amor ci ha mostro,
     Che la nostra amistà non sia lontana.
     Disse Ulivier: S’egli è Morgante vostro,
     Dove è la bella mia Meridiana?
     Io 'l bramo tanto, ch’io la veggo e sento,
     E par ch’io sia di questo error contento.

64 E poi che furon più presso, vedea
     Ulivier questa, che ’l passo studiava,
     La qual cognobbe al caval ch’ella avea,
     Ovver ch’Amor così l’ammaestrava.
     Meridiana, quando lui scorgea,
     Come stella nel viso fiammeggiava,
     E del caval saltò subitamente;
     Ed Ulivier facea similemente;

65 Ed abbracciolla con gran gentilezza,
     Prima baciolla aè suo modo franzese;
     La gentil dama per gran tenerezza
     Non potè salutar, tanto s’accese:
     Ed Ulivier sentia tanta dolcezza,
     Che le parole sue non sono intese;
     E pur voleva dir: Ben venga quella,
     Che sola agli occhi miei fia sempre stella.

66 Gran festa fu tra’ Pagani e’ Cristiani,
     E molto Carador fu commendato,
     Che si ricorda in paesi lontani
     De’ beneficj del tempo passato.
     Dicea Faburro: O cavalier sovrani,
     Sempre ho sentito un proverbio provato,
     E tengo nella mente vivo e verde:
     Che del servire al fin mai non si perde.

67 Nella città più giorni si posaro,
     E intanto i nuovi Cristian sono in punto;
     Quattromila in un'oste s’assembraro;
     Dicea Faburro: Or che Morgante è giunto,
     È da partirsi; e molto mi fia caro,
     Orlando, se tu mi ami o stimi punto,
     Ch’io sia di questa gente conduttore,
     E mostrerrotti in Francia il mio valore.


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