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canto decimo. 183

4 Faburro è giunto, valoroso, ardito,
     Che cavalcava un possente cavallo;
     La lancia abbassa, un Cristiano ha ferito,
     E morto in terra faceva cascallo;
     Gan di Maganza incontro gli fu ito,
     E disse: Aspetta, traditor vassallo;
     La lancia abbassa, e lo scudo percosse,
     Ma dell’arcion Faburro non si mosse.

5 Al conte Gano un colpo della spada
     Dette, che presto trovò la pianura;
     Molti cader ne fece in sulla strada,
     Tanto ch’assai ne fuggon per paura.
     Gan si rilieva, e non istette a bada,
     E riprovar volea la sua ventura;
     E fece quel che potea il fraudolente,
     Ma in questo tempo giunse l’altra gente.

6 Per Parigi era levato il romore,
     E Carlo era montato in sul destriere.
     Giunto alla porta, con molto dolore
     Subito riconobbe le bandiere
     Del suo nipote Orlando e ’l corridore,
     Ch’avea scoperto il segno del quartiere;
     E già Faburro incontro gli è venuto,
     E dismontato, e fatto il suo dovuto.

7 È questo Carlo, c’ho bramato tanto
     Di vederti una volta? or son contento;
     Non dubitar, pon fine al lungo pianto;
     Qua è Orlando, che già presso il sento.
     Carlo si trasse per dolcezza il guanto,
     E disse: Lieva, baron d’ardimento.
     Ed a Faburro toccava la mano;
     In questo, giunse il sir di Montalbano.

8 E saltò di Baiardo, e ’nginocchiossi;
     Ecco Ulivier che facea similmente.
     Non sapea Carlo in qual mondo si fossi,
     Tanta allegrezza nel suo petto sente.
     Non si son questi pria di terra mossi
     Che ’l suo nipote giugneva presente,
     E saltò armato fuor di Vegliantino,
     E ’nginocchiossi al figliuol di Pipino.