Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/228

Da Wikisource.

canto decimo. 209

134 Questo non è quel ch’egli are’ creduto,
     Questa non è gentilezza di Franza,
     Questo non è l’onor c’ha ricevuto,
     Questa non è d’imperadore usanza;
     Questa non è giustizia nè dovuto,
     Questo non è buon segno d’amistanza:
     Questa non è più la figliuola nostra,
     Poi ch’ella è fatta concubina vostra.

135 Questo non è quel che promisse il conte,
     Quand’e’ partì cogli altri del suo regno.
     Così dicendo scoteva la fronte;
     Ben parea pien di furore e di sdegno.
     Carlo, sentendo ricordar tante onte,
     Rispose: Ambasciador famoso e degno,
     Per quello Iddio ch’ogni Cristiano adora,
     Di ciò che di’ nulla ne ’ntendo ancora.

136 Tu m’hai fatto pensar per tutto il mondo,
     E cosa che tu dica ancor non truovo;
     Però questo al principio ti rispondo,
     Come colui che certo ne son nuovo:
     Il tuo signor famoso, alto e giocondo,
     Per vero amico e molto caro appruovo:
     Alla sua figlia ho fatto giusto onore,
     Per mia corona, come imperadore.

137 Nè Ulivieri ha fatto mancamento,
     Per quel ch’io sappi, o palese o coperto:
     Che se ciò fussi, i’ sarei malcontento,
     E non sarebbe giusto o degno merto.
     Quando Ulivier vedea tanto ardimento,
     Gridava: O imperador, troppo hai sofferto:
     Che dice questo traditor ribaldo?
     Così diceva il Danese e Rinaldo.

138 Meridiana, ch’era alla presenzia,
     Non potè far non si turbassi in volto,
     Quando sentì trattar di sua fallenzia,
     Chè tal segreto stimava sepolto:
     Perdonimi, dicea, la reverenzia
     Del padre mio, e’ parla come stolto;
     Chè sempre in questa corte sono stata
     Da Ulivier più che d’altro onorata.