43 Ch’era tutto di cuoio di serpente,
Con certi Macometti messi a oro,
Con gran carbonchi, se Turpin non mente,
Zaffir, balasci, e valeva un tesoro.
Orlando al padiglion poneva mente,
Dove il gigante faceva dimoro,
E stava tanto fiso a mirar questo,
Che Marcovaldo s’adirava presto.
44 Perch’e’ giucava a scacchi a suo sollazzo,
Siccom’egli è de’ gran signor costume:
Volsesi, e disse con un suo ragazzo:
Chi è quel poltronier che tiene il lume?
Cacciatel via, e’ debbe essere un pazzo:
Donde è venuto questo strano agrume?
Fu preso a Vegliantin tosto la briglia,
Ch’Orlando al padiglion tenea le ciglia.
45 Terigi, quando vide il Saracino
Ch’avea preso la briglia al conte Orlando,
Come fedele e servo al paladino,
Subito trasse alla testa col brando;
E quel Pagan gittava a capo chino,
Chè le cervella fuor vennon balzando.
Ah: disse Orlando come bene hai fatto,
A gastigar, Terigi, questo matto!
46 Marcovaldo colui vide cadere;
Maravigliossi, chè non parve appena
Che Terigi il toccassi: Ah, poltroniere,
Gridava forte, matto da catena!
E poi si volse ad un altro scudiere:
Piglia quel, disse, e drento qua lo mena,
Ch’io non intendo sofferir tal torto,
Ch’egli abbi in mia presenzia colui morto.
47 Allora Orlando prese Durlindana,
Chè tempo non gli par di stare a bada,
Ed accostossi alla turba pagana:
Terigi s’arrostava colla spada;
Quanti ne giugne, in terra morti spiana,
Tal che non v’è più ignun che innanzi vada:
Orlando a chi non era al fuggir destro,
Facea col brando il segno del maestro.