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canto decimosecondo. 257

53 L’alfana, che pel colpo ebbe paura,
     Perchè gli parve di molta possanza,
     Era di bocca, com’io dissi, dura;
     Subito fece col morso l’usanza,
     E cominciò a sgomberar la pianura:
     Ma ’l conte Orlando seguiva la danza;
     Egli e Terigi i cavalli spronorno,
     E drieto a Marcovaldo s’avviorno.

54 Poi che tutto ebbe attraversato il piano,
     Giunse l’alfana appiè della montagna;
     Quivi al fin pur la ritenne il Pagano,
     Però che tutta di sudor si bagna.
     Orlando grida: Saracin villano,
     Ben t’ho seguito per ogni campagna;
     Questo è quel dì che ti convien morire,
     Volgiti in drieto, tu non puoi fuggire.

55 Sentendo il Saracin così chiamarsi,
     Volsesi in drieto, e trasse il brando fore,
     E disse: Al mondo ignun non può vantarsi,
     Ch’io lo fuggissi per viltà di core;
     Ma sappi ch’e’ rimedj son sì scarsi
     Di questa alfana a frenare il furore,
     Quand’ella piglia colla bocca il morso,
     Che insin dove tu vedi son trascorso.

56 Ma tu se’ qua condotto dov’io voglio,
     E ’l tuo compagno ch’uccise il mio servo;
     S’io son quel Marcovaldo ch’esser soglio,
     Non lascerò a tagliarti osso nè nervo:
     A più di sette12 abbassato ho l’orgoglio,
     E sempre col nimico questo osservo,
     Ch’io non mi curo por la lancia in fallo,
     Ma colla spada mi serbo ammazzallo.

57 Rispose Orlando: Tu il di’ per vergogna,
     Chè tu rompresti un gambo di finocchio
     A gran fatica, e scusa or ti bisogna;
     Ed io, ch’allato a te paio un ranocchio,
     So che col ferro ti grattai la rogna,
     E corse il sangue più giù che ’l ginocchio:
     Così t’avessi veduto la dama,
     Che Chiariella per nome si chiama.


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