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260 il morgante maggiore.

68 E che per merto di sì degno affetto
     Dovessi qualche volta venir quella
     Dove il suo corpo giaceria soletto,
     E chiamassi, e dicessi: Chiariella
     Ti piange, Marcovaldo poveretto,
     Qual ti parve nel mondo troppo bella;
     Ch’avea speranza, se costei il chiamassi,
     Che l’anima nel corpo ritornassi.

69 O come fece appiè del gelso moro
     Piramo,13 quando Tisbe lo chiamoe,
     Ch’era già presso all’ultimo martoro,
     Così far egli Orlando il confortoe,
     Dicendo: Io lo farò, se pria non moro,
     Ch’alla città son certo ch’io n’androe.
     E così fece a luogo e tempo Orlando,
     Per venir sempre la sua fe’ servando.

70 Terigi aveva veduto andar via
     L’anima in ciel con molti Angeli santi,
     Sempre cantando dolce melodia;
     Tutto smarrito par ne’ suo’ sembianti:
     Quand’e’ sentì dir Salve, Ave Maria,
     Con armonia celeste e dolci canti,
     Disse ad Orlando: Io ho invidia a costui,
     Che come lui da te morto non fui.

71 Da ora innanzi tra’ Pagani andiamo,
     Ch’io non istimo più di star in vita,
     Pur che per la tua fe’, Cristo, moiamo,
     Poi che quell’alma vidi alla partita.
     Diceva Orlando: Al campo ritorniamo
     Questa novella non vi fia sentita;
     Non ci dee riconoscer quella gente,
     Nè di costui non sapranno niente.

72 Così pel mezzo del campo passaro,
     Che conosciuti non fur da persona,
     E ’nverso la città poi se n’andaro,
     Dov’era l’Amostante e sua corona,
     E del palazzo real domandaro;
     Poi inverso quello ognun di loro sprona,
     Tanto che sono al palazzo arrivati,
     E innanzi all’Amostante appresentati.