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canto decimoterzo. 267

8 Guarda dove condotto m’ha fortuna,
     Che appena crederai ch’io sia quel desso;
     Io mi parti’, nè di mia gente alcuna
     Volli, se non qui il mio scuediere appresso:
     Ho cavalcato al sole ed alla luna,
     Ora il tuo padre a forza m’ha qui messo;
     Ma se pensato avessi tradimento,
     Per lo mio Dio non mi mettea qui drento.

9 A te mi raccomando, poi ch’io sono
     Dove tu vedi, e fa che ’l mio destriere
     Sia governato, e poi sempre ti dono
     L’anima, ’l cuore, e ciò ch’è in mio potere;
     E vo’ che ’ntenda ancor quel ch’io ragiono:
     Se tu potessi questo mio scudiere
     In qualche modo di qui liberarlo,
     Manderei per soccorso in Francia a Carlo.

10 Non potè sofferir che più parlassi
     La damigella, udendo ch’era Orlando;
     Parve che ’l cor nel petto si schiantassi
     Per gran dolcezza, e disse lacrimando:
     Io credo che Macon qua ti mandassi
     Per mio amor sol, ma non so come o quando,
     Chè sempre disiato ho di vederti;
     Ma in altro modo qui vorrei tenerti.

11 S’io dovessi il mio padre far morire
     Con le mie proprie man, tu non morrai;
     Amor comanda, ed io voglio ubbidire,
     Che tu sia salvo, e salvo te n’andrai;
     Quando fia tempo ti saprò aprire,
     E ’l tuo caval, contento ne sarai,
     E lo scudier fia franco a ogni modo,
     E che tu il mandi in Francia affermo e lodo.

12 Poi ch’ebbe Chiariella così detto,
     Lasciava Orlando, e vanne al padre tosto,
     E dicea: Quel sergente poveretto
     Si morrà certo, chè mi par disposto
     Di non voler mangiar: come folletto1
     Gittato ha via ciò ch’i’ gli ho innanzi posto;
     E colpa in ver non ci ha da gnuna banda,
     Ch’ubbidir dee quel che ’l signor comanda.