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canto decimoquarto. 283

8 Dunque tu porti in testa la corona?
     Va, mettiti una mitera,2 ghiottone,
     Nimico d’ogni legge giusta e buona,
     In odio a Dio, al mondo, alle persone;
     Ben verrà la saetta, quando e’ tuona;
     Perchè e’ non paghi il sabato Macone,
     E ’l fuoco eterno rigido e penace,3
     Lupo affamato, perfido e rapace.

9 Non pensi tu che in ciel sia più giustizia,
     Malfusso,4 ladro, strupatore e mecco4a,
     Fornicator, uom pien d’ogni malizia,
     Ruffian, briccone, e sacrilego e becco?
     Non potrebbe scusar la tua tristizia
     D’una parola sol la voce d’Ecco:5
     Tener le nobil donne Saracine
     Virgini e ’ntatte per tue concubine!

10 E batterle ognidì sì aspramente!
     Ch’io non so a chi pietà non ne venissi,
     S’alcuna pur di lor non ti consente,
     E come il centro non s’apre e gli abissi.
     Vergante uscito parea della mente,
     Ognun tenea a Rinaldo gli occhi fissi,
     E dicean molti: Costui vien da cielo,
     Chè ciò che dice, ogni cosa è il Vangelo.

11 Non sapea che si dir Vergante; e tanto
     Multiplicò la furia e la tempesta,
     Che Rinaldo lo prese dall’un canto,
     E la corona gli strappò di testa,
     E tutto gli stracciò il reale ammanto:
     Ognuno stava a veder questa festa;
     Poi lo portò tra quella gente pazza,
     E d’un balcon lo gittò in sulla piazza.

12 Tutti color che l’avevon veduto,
     A gran furore sgomberan la sala,
     Dicendo: Da Macon questo è venuto!
     Beato a chi potè trovar la scala.
     Rinaldo, come savio uomo ed astuto,
     Che le parole e l’opere sue insala,6
     Subito andò dove le damigelle
     Avea sentite batter meschinelle,