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canto decimoquarto. 295

68 E che vi fussi boncio, e barbio, e lasca.
     Alefe finalmente v’era scorto,
     E come sol dell’acqua quel si pasca,
     E tratto fuor di quella parea morto;
     Vedevasi la manna che giù casca,
     E ’l pesce per pigliarla stare accorto,
     E come il pescator molto s’affanni
     Con rete ed esca, e con mille altri inganni.

69 Poi si vedea Nettunno col tridente
     Guardar con atti ammirativi e schifi,
     Quando prima Argo nel suo regno sente,14
     Che lo voleva a Colchi guidar Tifi;
     Scilla abbaiar si sentia crudelmente,
     E i mostri suoi digrignavano i grifi;
     Vedeasi Teti, e vedevasi Ulisse
     Come più là che i segni d’Ercol gisse.

70 Cimoto15 e Triton placar la tempesta,
     Glauco16 poi si vedeva ondeggiare;
     Esaco17 afflitto con molta molesta
     Cercando Esperia ancor sott’acqua andare;
     Talvolta Galatea fuor trar la testa
     Che fe già Polifemo innamorare:
     Notavan per lo mar con ambo mane,
     Converse in ninfe, le nave troiane.

71 Poi si vedeva nave in quantitate
     Gir sopra l’acqua, e molti legni strani,
     Balenier, grippi, e galeazze armate
     E brigantin, carovelle e marrani,
     Liuti, saettie, gonde spalmate;
     E sopra fuste menarsi le mani;
     Battelli, e paliscarmi, e schifi, e barche
     D’uomini e merce e varie cose carche.

72 L’ultima parte toccava alla terra:
     Quivi si vede tutte l’erbe e piante,
     E come il globo si ristringe e serra,
     E le città famose tutte quante,
     E gli animali, e come ciascuno erra
     Chi qua chi là per Ponente e Levante,
     Per Mezzogiorno, e chi per Tramontana,
     Ogni fera domestica e silvana.