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canto decimoquinto. 307

29 E trasse con tant’ira Durlindana
     Al prenze, che lo giunse in sull’elmetto,
     Il qual sonò che parve una campana,
     E con fatica alla percossa ha retto;
     Ed ogni cosa vide Luciana,
     Tanto ch’ell’ebbe del colpo sospetto,
     Chè ’nsino al collo del destrier piegossi
     Rinaldo, tal ch’a gran pena rizzossi.

30 Non arebbe però voluti tre
     Ch’uscito sare’ fuor del seminato;4
     Pur si riebbe; e ritornava in sè,
     E ’l brando a’ crini il cavallo ha trovato;
     Sì che due parte del collo gli fe’,
     E ’nsieme con Rinaldo è rovinato:
     Gridò Rinaldo al conte: Traditore,
     Tu l’uccidesti per viltà di core.

31 Rispose Orlando: Traditore o vile
     Non fu’ mai reputato alla mia vita,
     Ma sempre, in verità, baron gentile;
     Or se mi venne la mazza fallita,
     E’ me ne ’ncresce, e però parlo umile:
     Ma innanzi che da me facci partita,
     Io ti farò disdir quel che tu hai detto.
     E poi saltò del suo caval di netto.

32 E cominciorno più aspra battaglia,
     Che si vedessi mai tra due baroni:
     Lo scudo in pezzi l’uno all’altro taglia:
     Non cavalier parieno, anzi dragoni;
     E benchè regga la piastra e la maglia,
     Pe’ colpi spesso cadean ginocchioni;
     E l’uno e l’altro soffiava e sbuffava,
     Come un leone o altra fera brava.

33 Dannosi punte, dannosi fendenti,
     Dannosi stramazzon, danno rovesci;
     Fannosi batter drento all’elmo i denti,
     Frugano in modo da sbucare i pesci
     Alcuna volta co’ brandi taglienti,
     Acciò che meglio il disegno riesci;
     Raddoppia il colpo l’uno a l’altro, e piomba,
     E l’aria e ’l cielo e la terra rimbomba.