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canto decimoquinto. 311

49 Non ti vergogni tu, donna sì degna
     Volerne via portar, can peccatore,
     Che in tutte quelle parte ove il Sol regna,
     Non è donzella degna di più onore?
     Nè vo’ che ’l suo cader tuo pregio tegna,
     Chè fu difetto del suo corridore.
     Disse il gigante: Per Macon, ch’io sono
     Contento, e per prigione a te la dono.

50 Orlando disse: Tu mi pari or saggio,
     Che quel che non puoi vender vuoi don farne.
     Se tu vedessi costei nel visaggio,
     Diresti: Cibo non è da beccarne
     Un uom sì rozzo, rustico e selvaggio;
     Ch’io so che’ denti tuoi non son da starne.
     Allor Copardo addosso a quel si getta,
     Per far della sorella sua vendetta.

51 E l’uno e l’altro una lancia pigliava,
     E di concordia insieme si sfidaro;
     Ma alfin Copardo in terra si trovava,
     E restò prigionier sanza riparo:
     Perchè Corante a Orlando parlava:
     Che costui sia prigion tu intendi chiaro.
     Così, per non opporsi alla ragione,
     Copardo n’andò preso al padiglione.

52 Disse il gigante: Ed anco la donzella
     È mia prigion, ma non la vo’ contendere,
     Però ch’io la gittai pur della sella,
     E s’io volessi, io te la farei rendere;
     Chè tu dicesti, ch’io ti donai quella
     Per questo ch’io non la potevo vendere.
     Orlando disse: Sia come si vuole,
     Con l’arme arai costei, non con parole.

53 Disse il gigante: Disfidato sia,
     Da poi che tu m’hai tolto la mia preda,
     Poi mi minacci, e dimmi villania
     E credi per viltà te la conceda;
     Io t’ho donato per mia cortesia
     Questa donzella, e par che tu nol creda.
     Orlando al suo caval la briglia volse,
     Ed una arcata o più del campo tolse.