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canto decimoquinto. 313

59 E se non fusse la sorella mia,
     Dicea Copardo, che s’è innamorata
     Della sua fama e di sua gagliardia,
     Sarebbe or la sua vita annichilata,
     Perchè il mio padre non lo conoscia;
     Ma poi che vide la terra assediata,
     Gli dette Chiariella per rimedio
     Di liberarlo, per levar l’assedio.

60 Ma per paura lo tien del Soldano,
     E non gli dà di partirsi licenzia;
     Ma tu se’ qui or con armata mano:
     Io ti darò la città in tua potenzia,
     Tanto m’incresce di tal caso strano
     D’un uom sì degno e di tanta eccellenzia:
     La mia sorella tanto amor gli porta,
     Ch’a tradimento daremti una porta.

61 Rinaldo, ch’avea già legato il core
     Per gran dolcezza, abbracciava Copardo,
     E disse: Io sento già tanto fervore
     Del mio cugin, che tutto nel petto ardo;
     So che tu parli con perfetto amore,
     Se bene alle parole tue riguardo:
     E Chiariella, per la fede mia,
     Si loderà della sua cortesia.

62 A mio parer, ritorna alla cittate,
     E dì con Chiariella questo fatto:
     Quando fia tempo poi me n’avvisate,
     Ch’io so che riuscir ci debbe il tratto,
     Ch’io mi confido nella tua bontate,
     Sanza far teco altra convegna o patto.
     E dettegli il cavallo e l’armi sue,
     E presto al padre suo dinanzi fue.

63 L’Amostante dicea: Chi t’ha mandato?
     Copardo disse: Da me son fuggito.
     Rispose l’Amostante: Tu hai fallato;
     Poi disse: Forse è pur miglior partito,
     Chè non t’avessi un giorno là impiccato.
     Copardo a Chiariella sua n’è ito,
     Ed ogni cosa ragionorno insieme,
     E la fanciulla d’allegrezza geme.