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canto decimoquinto. 317

79 E ripose a caval questa e ’l marchese,
     E domandò chi l’aveva abbattuto.
     Disse Ulivieri: In terra mi distese
     Un gran gigante, e poi non l’ho veduto.
     Mentre che sono in sì fatte contese,
     Orlando a Ricciardetto s’è abbattuto,
     E perchè e’ nol conobbe nella stretta,
     Lui e ’l caval d’un colpo in terra getta.

80 E poi trovò Terigi suo scudiere,
     E sopra l’elmo gli appiccava il brando:
     Per modo che rovina del destriere,
     Benchè l’elmetto non venga spezzando;
     Quando Terigi si vide cadere,
     Dicea fra sè: Dove se’ tu, Orlando?
     Chè stu ci fussi, i’ non sarei cascato,
     E pur cadendo io sarei vendicato.

81 Orlando il riconobbe alle parole:
     Dismontò presto, e chiesegli perdono,
     Dicendo: Del tuo caso assai mi duole,
     Ma che tu monti in sella sarà buono;
     Così sempre la notte avvenir suole.
     Diceva Orlando: Or gli altri dove sono?
     Aresti tu veduto Ricciardetto,
     O Ulivier? ch’i’ ho di lor sospetto.

82 Disse Terigi: Ulivier vidi dianzi,
     Che cacciava una turba di Pagani;
     Ma Ricciardetto è in terra qui dinanzi,
     E stato sarai tu colle tue mani:
     Credo che poco di vita gli avanzi;
     Morto l’aranno questi cani alani.
     Orlando guarda, e Ricciardetto vede
     Che si difende con la spada a piede.

83 E grida: Ah, Ricciardetto, hai tu paura?
     Orlando è teco; tu non puoi perire,
     Chè sai ch’io ho fatata la ventura;
     Quel che t’ha fatto della sella uscire,
     È stato un gran tuo amico, o tua sciagura.
     Quando Ricciardo sentì così dire,
     Disse: Per certo io mi maravigliai,
     Chè con un colpo io e ’l caval cascai.