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330 il morgante maggiore.

27 Così la festa ristette col ballo,
     E dipartissi la donna famosa;
     Rinaldo compagnia gli fe a cavallo
     Insino appresso ove il Soldan si posa;
     E morir si credette sanza fallo,
     Quand’e’ lasciò questa dama vezzosa,
     E con fatica le lacrime tenne,
     Insin che pure a casa se ne venne.

28 Il Soldan domandò quel ch’avea fatto
     La gentil figlia in Persia co’ Cristiani;
     Ella gli disse la convegna e ’l patto,
     Che ’l terzo dì debb'essere alle mani;
     E che sperava dare scaccomatto
     Al buon Rinaldo con l’arme in su’ piani,
     E racquistar tutte le terre sue:
     Donde il Soldan molto contento fue;

29 Però che molto in costei si fidava.
     Or ci convien tornare a dar conforto
     A Rinaldo, ch’a letto se n’andava,
     E non pareva già vivo nè morto,
     Ma con sospiri Antea sua richiamava;
     Dicendo: Lasso, tu m’hai fatto torto,
     Avermi dato e poi furato il core!
     E detto questo si dolea d’Amore.

30 Come hai tu consentito, che costei
     M’abbi così rubato da me stesso,
     E transformato così tosto in lei,
     Tanto che quel ch’io fui non son più desso?
     Ella se n’ha portati i pensier miei,
     Questo non è quel che tu m’hai promesso!
     E non ti gloriar, se col tuo arco
     Per donna sì gentil m’hai preso al varco.

31 Chè non sarebbe ingannata Europia,5
     Non si sarebbe transformato in toro
     Giove, e mutata la sua forma propia,
     Nè Ganimede rapito al suo coro,
     S’avessi visto sì leggiadra copia:
     E non sarebbe Dafne un verde alloro,
     Se Febo avessi veduto il dì Antea,
     Che, innamorato: Aspetta; pur dicea,