Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/351

Da Wikisource.
332 il morgante maggiore.

37 Tu non aresti già, Teseo, menata
     Ipolita del regno già Amazzone;
     Tu non aresti Adriana lasciata
     Su l’isoletta in tanta passione;
     E non sarebbe Emilia repugnata,
     Atene per Arcita e Palamone,
     Nè Pirramo già morto, e mille amanti,
     Ch’or sare’ lungo a contar tutti quanti,

38 Se fussi al secol lor vivuta questa,
     Ch’io pur non vidi mai più bella figlia,
     S’io guardo ben la refulgente testa,
     E ’l capo suo, che Venere simiglia,
     La faccia pulcra angelica e modesta,
     I duo begli occhi e l’archeggiate ciglia,
     E gli atti sì soavi, e le parole,
     Ch’arien forza di far fermare il sole.

39 Ben puoi tu, crudo, per lei saettarmi,
     Ben puoi di me vittoria avere, Amore;
     Che pensi tu, ch’io apparecchi l’armi,
     Per passar con la lancia a questa il core,
     Che può ferirmi a sua posta e sanarmi,6
     Come Pelleo? non già tu, traditore.
     Queste parole e molte altre dicea,
     Ma finalmente richiamava Antea.

40 Dove se’ tu, perchè m’hai qui lasciato?
     Non potesti star meco solo un giorno?
     Che pensi tu, ch’al campo io venga armato?
     Aspetta tanto ch’io chiami col corno;
     Tu m’hai già preso per modo e legato,
     Ch’omai più in Francia al mio signor non torno,
     Nè posso in Babilonia anco star teco,
     Nè, poi ch’io vidi te, più star con meco.

41 Che debbo far? dove sarà il mio regno?
     Dove starà il mio cor così soletto?
     Orlando, ch’avea fatto alcun disegno,
     La mattina trovò Rinaldo a letto,
     E misse a queste parole lo ’ngegno:
     Disse: Cugino, aresti tu difetto?
     Rinaldo il volea far pur cornamusa7
     D’un certo sogno, e trovava sua scusa.