62 Ulivier non rispose nulla a questo,
E diecimila a cavallo ordinorno:
L’altra mattina ognun s’armava presto:
Verso dell’oste del Soldan n’andorno:
Così Rinaldo sanza esser richiesto;
E disse al conte: Sonerai tu il corno,
Chè sai che poco il sonarlo è mia arte,
E chiama al campo Antea dalla mia parte.
63 Ah, disse Orlando, tu non di’ da vero,
Io lo farò come persona sciocca,
Chè di piacerti ho troppo desidero;
E l’elefante12 si poneva a bocca,
E sonò tanto forte e tanto altero,
Che come il suon del corno fuori scocca,
Subito venne agli orecchi d’Antea,
Che fra se stessa gran dolor n’avea.
64 Dicendo: Io ho qui perduta ogni fama:
Parrà che per viltà nel padiglione
Mi stessi addormentata; e l’arme chiama,
E finalmente saltò in sull’arcione.
Quando Rinaldo scorgeva la dama,
Par che sia tratto il cappello al falcone;
E tutto si rassetta in sulla sella,
E in qua e in là con Baiardo saltella.
65 Giunta costei, con un gentil saluto
Lo salutò, che in mezzo il cor gli passa;
Poi fece con Orlando il suo dovuto;
Orlando per dolor giù gli occhi abbassa.
Disse la dama: E’ vi sarà paruto
Ch’io sia molto per certo pigra e lassa,
Chè sto nel letto, e voi siete a aspettarmi;
Veggo che l’arte è pur vostra dell’armi.
66 Prendi del campo tu, Rinaldo mio,
Chè so che tu m’aspetti alla battaglia,
E ciò ch’io ti promissi pel mio Dio
Osserverotti, sanza mancar maglia.
Dicea Rinaldo: A combatter vengh’io,
Ma vorrei far con arme che non taglia:
Volse il cavallo, e così la fanciulla:
Disse Ulivieri: E’ non ne sarà nulla.