Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/37

Da Wikisource.
18 il morgante maggiore.


84 E in certa cameretta entrati sono,
     Che d’armadure vecchie era copiosa;
     Dice l’abate: Tutte ve le dono.
     Morgante va rovistando53 ogni cosa,
     Ma solo un certo sbergo gli fu buono,
     Ch’avea tutta la maglia rugginosa:
     Maravigliossi che lo cuopra appunto,
     Chè mai più gnun forse glien’era aggiunto.

85 Questo fu d’un gigante smisurato,
     Ch’alla badia fu morto per antico
     Dal gran Milon d’Anglante, ch’arrivato
     V’era, s’appunto questa istoria dico;
     Ed era nelle mura istoriato,
     Come e’ fu morto questo gran nimico,
     Che fece alla badia già lunga guerra:
     E Milon v’è, com’e’ l’abbatte in terra.

86 Veggendo questa istoria, il conte Orlando
     Fra suo cor disse: O Dio, che sai sol tutto;
     Come venne Milon qui capitando,
     Che ha questo gigante qui distrutto?
     E lesse certe letter lacrimando,
     Che non potè tener più il viso asciutto,
     Com’io dirò nella seguente istoria:
     Di mal vi guardi il Re dell’alta gloria.




NOTE.

1. In principio era il Verbo appresso a Dio. E’ non è certo lodevole il modo con che il nostro Poeta va del continuo frammettendo al Poema, massime nel principio, e nel fine di ciascun canto, ora delle invocazioni alla Divinità, ora dei passi di Sacre Carte tradotti, o parafrasati. Pur tale sconcezza è molto da condonare ai tempi; e se il Pulci errò, può dirsi che errò coi più sommi, e con Dante medesimo, il quale non ebbe a schifo nemmeno di appropriare le parole di un Inno della Chiesa alle insegne diaboliche, e dire:

Vexilla regis prodeunt inferni.

Senzachè volle forse il Pulci imitare quei rozzi Poeti vissuti probabilmente nel decimoterzo secolo, i quali avendo pur fatto argomento dei lor Poemi o Carlo Magno, o Orlando, o i primi Re di quella famiglia, usarono dar principio o fine quasi a ciaschedun Canto con una preghiera, o con una invocazione a Dio. E di ciò può a suo agio accertarsi chiunque abbia la pazienza di leggere il Buovo d’Antona, o la Regina Ancroja, i cui autori in ciò solo somigliarono Omero, nell’esser cioè oppressi dalla miseria, e nell’andar cantando per le vie e per le piazze i proprii versi.