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canto secondo. 27

24 Quivi è vivande di molte ragioni,
     Pavoni, e starne, e leprette, e fagiani,
     Cervi, e conigli, e di grassi capponi,
     E vino, ed acqua, per bere, e per mani.
     Morgante badigliava a gran bocconi,
     E furno al bere infermi, al mangiar sani;
     E poi che sono stati a lor diletto,
     Si riposorno entro a un ricco letto.

25 Com'e’ fu l’alba ciascun si levava,
     E credonsene andar come ermellini16,
     Né per far conto l’oste si chiamava,
     Che lo volean pagar di bagattini17;
     Morgante in qua e in là per casa andava,
     E non ritrova dell’uscio i confini.
     Diceva Orlando: Saremo noi mezzi
     Di vin, che l’uscio non si raccapezzi!

26 Questa è, s’io non m’inganno, pur la sala,
     Ma le vivande e le mense sparite
     Veggo che son; quivi era pur la scala,
     Qui son gente stanotte comparite,
     Che come noi aranno fatto gala18:
     Le cose, che avanzorno, ove sono ite?
     E ’n questo error un gran pezzo soggiornano;
     Dovunque e’ vanno, in sulla sala tornano.

27 Non riconoscon uscio, né finestra.
     Dicea Morgante: Ove siam noi entrati?
     Noi smaltiremo, Orlando, la minestra,
     Chè noi ci siam rinchiusi, e ’nviluppati
     Come fa il bruco su per la ginestra.
     Rispose Orlando: Anzi ci siam murati.
     Disse Morgante: A voler il ver dirti,
     Questa mi pare una stanza da spirti.

28 Questo palagio, Orlando, fia incantato,
     Come far si soleva anticamente.
     Orlando mille volte s’è segnato,
     E non poteva a sè ritrar la mente;
     Fra sè dicendo: aremol noi sognato?
     Morgante dello scotto non si pente,
     E disse: Io so ch’al mangiare ero desto,
     Or non mi curo s’egli è sogno il resto.