Pagina:Pulci - Morgante maggiore I.pdf/8

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prefazione dell'annotatore v

E mentre cita con riverenza il grande istorico Leonardo Aretino, si professa di prestar fede al santo arcivescovo Turpino, uno anche fra gli eroi del poema. In altro luogo dov’egli imita le apologie che i contastorie sogliono fare a sè stessi, esce in una destra allusione al criterio degli uditori:

E so che andar diritta mi bisogna
Ch’io non ci mescolassi una bugia,
Chè questa non è istoria da menzogna;
Chè come io esco un passo della via,
Chi gracchia, chi riprende, e chi rampogna,
Ognun poi mi riesce la pazzia;
Tanto ch’eletto ho solitaria vita,
Chè la turba di questi è infinita.

La mia accademia un tempo, o mia ginnasia,
È stata volentier ne’ miei boschetti,
E puossi ben veder l’Affrica e l’Asia:
Vengon lo ninfe con lor canestretti,
E portanmi o narciso o colocasia,
E così fuggo mille urban dispetti;
Sicch’io non torno a’ vostri ariopaghi,
Gente pur sempre di mal dicer vaghi.
                              Morgante, Canto XXV, St. 116-17

La versificazione del Pulci ha una notabile fluidità, e le ottave qui sopra citate mostrano saggio dello stile di lui. Nondimeno difetta di melodia. Pura è la lingua, l’espressione scorre naturalmente; ma tra le frasi non è nè séguito nè legamento, e la grammatica spesso non è rispettata. La sua forza traligna in asprezza, e amore di brevità uccide l’immaginazione poetica sullo spiegarsi. Egli mostra i caratteri tutti di un genio rozzo, e quantunque atto agli scherzi fini e delicati, pure generalmente il suo riso riesce amaro e severo. Chè quella sua bizzarria non manifestasi già per detti arguti e faceti, ma sì per mezzo di situazioni inaspettate poste a singolare contrasto tra loro. Carlomagno condanna re Marsilio di Spagna ad essere appiccato per