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canto ventesimo. 101

92 E’ si levò tra’ Saracin gran pianto,
     Veggendo così morto il lor signore,
     E fu portato a seppellire; e ’ntanto,
     Un giovinetto, ch’avea gran valore
     Fra tutti i Saracin, esce da canto,
     E dice: Perch’io fui suo servidore,
     Da poi che non c’è ignun che qua si metta,
     Io vo’ del mio signor far la vendetta.

93 Io ti disfido, tu che l’uccidesti.
     Orlando disse: La battaglia accetto;
     Ma perchè meco giovane saresti,
     Combatterai con questo giovinetto,
     Bench’io mi credo tu m’avanzeresti;
     E disse: Fatti innanzi, Ricciardetto.
     E Ricciardetto accettò volentieri,
     E sanza altro parlar, volse il destrieri.

94 E l’uno e l’altro insieme riscontrârsi;
     Ma Ricciardetto al fin la sella vota,
     Chè non potè dal colpo fiero atarsi,
     Sì forte par che lo scudo percuota:
     I Pagan cominciorno a rallegrarsi;
     Ma Ulivier se ne batte la gota,
     E volle vendicar lui Ricciardetto,
     E disfidava questo giovinetto;

95 E ritrovossi infin fuor di Rondello.
     Armossi il Veglio allor della Montagna,
     E con la lancia si scontrò con quello,
     Tanto ch’alfin la morte vi guadagna;
     Però che ’l Saracin pose a pennello,
     E passò l’arme, che parve una ragna:
     Non si poteva por quel colpo meglio,
     Poi ch’egli uccise un sì famoso Veglio.

96 Quando Rinaldo cadere ha veduto
     Il Veglio suo, che tanto amava in vita,
     Parve del petto il cuor gli sia caduto;
     L’anima sua nel Ciel si rimarita;
     E ’l conte Orlando gli è tanto doluto,
     Che per più dì parea cosa smarrita:
     E fu mandato a Babillona questo
     A sepellir, come Morgante, presto.