132 Questo caval bisogno are’ d’un maggio,
Che fussi almeno un anno, non un mese.
Orlando se n’andava a suo viaggio,
E ciò che si dicea per tutto intese,
Però ch’e’ sapea bene ogni linguaggio:
Un Saracin per la briglia lo prese,
Come alcun si diletta di far male,
E sfibbia a Vegliantino il barbazzale.
133 E per ischerno gli trasse la briglia.
Orlando non potè sofferir più,
E con un pugno la gota e le ciglia,
Il naso e gli occhi gli cacciava giù:
Ognun che ’l vide, n’avea maraviglia,
Chè mai tal pugno veduto non fu:
Poi scese in terra di disdegno pieno,
E racconciava a Vegliantino il freno.
134 Colui ch’avea del viso forse il terzo,
Trasse la spada ch’aveva a’ galloni,14
Però che questo non gli pare scherzo.
Orlando lo diserta co’ punzoni:
Pensa che s’egli avessi avuto il berzo,
Morto l’arebbe con due rugioloni;
Un tratto nella tempia un glien’accocca,
Che gli facea il cervello uscir per bocca.
135 E risaltò di netto in sul cavallo,
Sanza staffa operar, con l’armadura,
Tanto ch’ognuno stupiva a guardallo,
E scostasi da lato per paura.
Intanto Chiaristante viene al ballo,
E se saprà ballar, porrenvi cura;
Astolfo lo minaccia e svergognava,
E poi si scosta e del campo pigliava.
136 E l’uno e l’altro sollecita e sprona.
Il Saracino Astolfo riscontrava:
L’aste non resse, ben che fussi buona;
Quella d’Astolfo non si dicollava,
E tutto il petto al Saracino intruona,
Tanto che nulla lo scudo approdava,15
E pose lui e ’l cavallo a giacere,
Ed una staffa perdè nel cadere.