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canto ventesimoprimo. 133

132 Questo caval bisogno are’ d’un maggio,
     Che fussi almeno un anno, non un mese.
     Orlando se n’andava a suo viaggio,
     E ciò che si dicea per tutto intese,
     Però ch’e’ sapea bene ogni linguaggio:
     Un Saracin per la briglia lo prese,
     Come alcun si diletta di far male,
     E sfibbia a Vegliantino il barbazzale.

133 E per ischerno gli trasse la briglia.
     Orlando non potè sofferir più,
     E con un pugno la gota e le ciglia,
     Il naso e gli occhi gli cacciava giù:
     Ognun che ’l vide, n’avea maraviglia,
     Chè mai tal pugno veduto non fu:
     Poi scese in terra di disdegno pieno,
     E racconciava a Vegliantino il freno.

134 Colui ch’avea del viso forse il terzo,
     Trasse la spada ch’aveva a’ galloni,14
     Però che questo non gli pare scherzo.
     Orlando lo diserta co’ punzoni:
     Pensa che s’egli avessi avuto il berzo,
     Morto l’arebbe con due rugioloni;
     Un tratto nella tempia un glien’accocca,
     Che gli facea il cervello uscir per bocca.

135 E risaltò di netto in sul cavallo,
     Sanza staffa operar, con l’armadura,
     Tanto ch’ognuno stupiva a guardallo,
     E scostasi da lato per paura.
     Intanto Chiaristante viene al ballo,
     E se saprà ballar, porrenvi cura;
     Astolfo lo minaccia e svergognava,
     E poi si scosta e del campo pigliava.

136 E l’uno e l’altro sollecita e sprona.
     Il Saracino Astolfo riscontrava:
     L’aste non resse, ben che fussi buona;
     Quella d’Astolfo non si dicollava,
     E tutto il petto al Saracino intruona,
     Tanto che nulla lo scudo approdava,15
     E pose lui e ’l cavallo a giacere,
     Ed una staffa perdè nel cadere.