104 Tutta la notte vi si borbottava,
Ognun volea pur Gano in gelatina:
Ma sopra tutti Astolfo vel tuffava.
Diliante si lieva la mattina,
E ’n su la piazza armato se n’andava;
Ed Aldinghier, che questo s’indovina,
Venne in sul campo, e non si salutorno,
Ma come e’ giunse, del campo pigliorno.
105 Quivi era Orlando, e’ suoi compagni armati.
Diliante rivolse il suo cavallo,
Ed ha tutti gli sproni insanguinati;
Come un cerviatto faceva saltallo:
E quando insieme si son riscontrati,
Ognun pareva un Marte sanza fallo:
La lancia del Pagan par che si cionchi,
E quella d’Aldinghier va in aria in tronchi.
106 Ritornon con le spade alla battaglia;
Dunque costor non facean per motteggio.
Lo scudo l’uno all’altro assai frastaglia,
Ma veramente ignun non avea il peggio:
Due ore o più la zuffa si ragguaglia.
Diceva Orlando: Ond’io lievi, non veggio,
O dove io ponga in su questa bilancia,
O vuoi col brando, Astolfo, o con la lancia.
107 Io giurerei ch’ognun fussi un Achille;
Odi la spada d’Aldinghier che fischia,
Guarda il Pagan se raccende faville!
Ma poi che molto è durata la mischia,
Trasse Aldinghieri un colpo, e valse mille,
Chè la fortuna crudel non cincischia;
Due parte al Saracin del capo fece,
Che non si rappiccò poi con la pece.
108 Ecco che tu se’ morto, Diliante,
Ch’era pur buono a Rinaldo credessi
Che morto avessi il tuo Veglio il gigante,
E Ganellon discacciato l’avessi:
Tu fusti come giovane ignorante
E furioso, or lo piangi tu stessi:
Aspetta luogo e tempo alla vendetta,
Chè non si fe’ mai nulla bene in fretta.