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canto ventesimosecondo. 163

104 Tutta la notte vi si borbottava,
     Ognun volea pur Gano in gelatina:
     Ma sopra tutti Astolfo vel tuffava.
     Diliante si lieva la mattina,
     E ’n su la piazza armato se n’andava;
     Ed Aldinghier, che questo s’indovina,
     Venne in sul campo, e non si salutorno,
     Ma come e’ giunse, del campo pigliorno.

105 Quivi era Orlando, e’ suoi compagni armati.
     Diliante rivolse il suo cavallo,
     Ed ha tutti gli sproni insanguinati;
     Come un cerviatto faceva saltallo:
     E quando insieme si son riscontrati,
     Ognun pareva un Marte sanza fallo:
     La lancia del Pagan par che si cionchi,
     E quella d’Aldinghier va in aria in tronchi.

106 Ritornon con le spade alla battaglia;
     Dunque costor non facean per motteggio.
     Lo scudo l’uno all’altro assai frastaglia,
     Ma veramente ignun non avea il peggio:
     Due ore o più la zuffa si ragguaglia.
     Diceva Orlando: Ond’io lievi, non veggio,
     O dove io ponga in su questa bilancia,
     O vuoi col brando, Astolfo, o con la lancia.

107 Io giurerei ch’ognun fussi un Achille;
     Odi la spada d’Aldinghier che fischia,
     Guarda il Pagan se raccende faville!
     Ma poi che molto è durata la mischia,
     Trasse Aldinghieri un colpo, e valse mille,
     Chè la fortuna crudel non cincischia;
     Due parte al Saracin del capo fece,
     Che non si rappiccò poi con la pece.

108 Ecco che tu se’ morto, Diliante,
     Ch’era pur buono a Rinaldo credessi
     Che morto avessi il tuo Veglio il gigante,
     E Ganellon discacciato l’avessi:
     Tu fusti come giovane ignorante
     E furioso, or lo piangi tu stessi:
     Aspetta luogo e tempo alla vendetta,
     Chè non si fe’ mai nulla bene in fretta.