34 E Luca, e Marco, e Giovanni, e poi Cristo.
O traditor malvagio, o Scariotto,
Tu n’hai pur fatte più che Giuda a Cristo;
Ma non sanza cagion si dice un motto:
Che ’l sabato non paga sempre Cristo,
E non vi fia poi in fine un quattrin rotto;
Non è del pagamento il tempo giunto:
Colui che ’l tempo fe’, sa il tempo appunto.
35 Carlo si stava in Parigi contento;
Era già vecchio, e pur canuto e bianco;
Pensa che in Gano il mal seme sia spento;
E pur se non è sazio, almen sia stanco;
Ma egli aveva a ogni piaga unguento,
E ’l coltel tossicato sempre al fianco,
E lascerà la pelle omai col vezzo:
E non è peggior mal che quel da sezzo.
36 Intanto le novelle son venute,
Come Marsilio raguna gran gente,
E molte nave in mar già son vedute,
Che s’apparecchion continovamente;
Ma non son le malizie cognosciute
Di Gano, ancora ignun non sa niente:
Vero è che la partita così súbita
Di Bianciardin fa ch’ogni savio dubita.
37 Carlo fe’ tutto il consiglio chiamare,
E Ganellone il primo fu in bigoncia,
E seppe, come e’ suol, ciaramellare;
E le sue maliziette in modo acconcia,
Che Carlo ancor se ne lascia menare:
Ma Turpin savio la ballata sconcia,3
E disse: Gan, tu puoi dire a tuo senno,
Chè non s’accordan le parole e ’l cenno.
38 Riprese adunque Namo le parole;
Andò per molte vie girando quello,
E riuscì poi infine dove e’ vuole,
E rovesciògli in capo un gran cappello.
Il duca Astolfo fece come e’ suole,
Non aspettoe che si tocchi il zimbello:
E disse: Ganellon, tu ne fai troppe,
E non sai ben che le bugie son zoppe,