44 E nel giardino un dì sendo rimasi,
Dove Avin m’ha veduto civettare,
Mi conferì suoi fatti e certi casi,
Come suol l’uno amico all’altro fare,
Per consigliarsi; e non vi stemmo quasi:
Colui ch’è giusto, non suol dubitare;
Al peccator suol ben parer l’un due,
E ch’ogni mosca sia per l’aria un grue.
45 Io mi son, Carlo, a sofferire avvezzo,
Ed ho fatto buon gusto e buono orecchio;
E quando il falso attorno è ito un pezzo,
Convien che il vero appaia in ogni specchio:
Così fussi quel giorno stato il sezzo
Ch’i’ venni in corte ov’io mi trovo vecchio,
Lasciata la mia patria e qualche regno,
Per riportarne ingratitudo e sdegno.
46 Io me n’andrò così vecchio in Maganza,
E qualche volta, poi ch’io sarò morto,
Conosciuta sarà questa arroganza,
Che mille volte m’ha incolpato a torto:
Tu hai dato a costor troppa baldanza,
O Carlo, o Carlo, e la pena io ne porto!
Ma in fin tra’ can si resterà la rabbia,
Ch’io farò ben; chi pensa mal, mal abbia.
47 Disse Ulivieri: Ah traditor ribaldo!
Io scoppio, Carlo, io non posso tacere;
E’ si par ben che non c’è più Rinaldo,
Ch’e’ ti farebbe ancor l’olio tenere.
E non potè per ira star più saldo,
E levossi turbato da sedere;
E dette al conte Gano una guanciata,
Che nel viso e nel cor riman segnata.
48 Ah, Ulivier, tu il piangerai ancora
In Roncisvalle, e sarai malcontento;
Questo è quel dì che Maddalena adora,
E sparge a’ piedi il prezioso unguento:
Questa ceffata è fuoco che lavora,
Che fia col sangue de’ Cristiani spento;
Vedrai che in Ganellon può questo sdegno
Tanto, che ’l cielo ancor ne farà segno.