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canto ventesimoquarto. 221

59 Eran questi giganti molto fieri
     Cattabriga chiamati, e Fallalbacchio;
     Gli uomin parean fantaccini di ceri,
     E tristo a quel ch’aspetterà il batacchio;
     Ch’e’ leverà la mosca di leggieri,
     E sopra l’elmo schiaccerà il pistacchio:
     E innanzi a tutta la turba venieno,
     E par che triemi lor sotto il terreno.

60 Vengon costor, saccheggiando e scorrendo,
     Verso Parigi, ogni cosa rubando;
     Castelli e ville e borghi e case ardendo,
     Come è usanza, e le donne sforzando,
     Uomini e bestie e fanciulli uccidendo;
     Della qual cosa è mal contento Orlando,
     Quando sentì la lor bestiale ingiuria,
     E rassettava le sue gente a furia.

61 Diceva Gano: Or non sono io quel desso,
     C’ho fatto questa volta i tradimenti:
     Fa’ sempre bene, e giudica te stesso.
     (Ah, traditor, tu sai che tu ne menti!)
     E sempre intorno a Carlo era il più presso,
     Dicendo: Imperator, di che spaventi?
     Non dubitar quando e’ c’è il Conte nostro.
     E più fedel parea che il paternostro.

62 Già eron presso a quattro leghe o manco
     I Saracini, e i giganti con loro;
     Il capitano innanzi ardito e franco,
     Che si faceva chiamar Sicumoro:
     E gli stendardi il campo avevon bianco,
     Dove era un Macometto in alto d’oro:
     Ed Antea lieta si venía appressando,
     Ch’avea gran voglia rivedere Orlando.

63 Era apparito in que’ dì gran prodigi,
     Portenti, augurj, e segni e casi strani;
     Piovuto sangue per tutto Parigi,
     Urlavan giorno e notte tutti i cani:
     Intanto a Montalbano è Malagigi,
     E vide in gran pericolo i Cristiani;
     Venne a Orlando, e l’arte sua gittorno,
     E tutte queste cose interpretorno.