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canto ventesimoquarto. 237

139 Avea già Sicumoro il capitano
     Il bel vessillo, e voleva fuggire;
     Orlando gli tagliò netta la mano,
     Che per la pena credette morire;
     E ritrovossi disteso in sul piano,
     Sì che Zaccheo vi potea ben salire;
     Poi si rivolse a quella gente pazza,
     Tanto che presto la campagna spazza.

140 Credo che Marte il dì dicessi a Giove:
     Tu non avevi questo paladino
     Quando i giganti fèr l’ultime prove,
     Ch’e’ non tremava lo scettro e ’l domìno.
     Orlando a Baldovin disse poi: Dove
     Di’ che lasciasti il figliuol di Pipino?
     Baldovin lo menò dov’era Carlo,
     E fecion sopra il caval rimontarlo.

141 Ulivieri era in una pressa stretta
     Di Mammalucchi, e fatto gli hanno cerchio;
     Ma tristo a quel che non fa la civetta,
     Chè non valeva di scrima coperchio:
     L’un sopra l’altro attraversato getta;
     Qui si nuota nel sangue e non nel Serchio;
     E tanto adoperò con la sua possa,
     Ch’a più di cento la barba fe’ rossa.

142 Aveva Orlando a caval già rimesso
     Namo e molti altri che smontati sono
     Sanza aver quivi lo staffiere appresso;
     I Pagan cominciorno in abbandono
     A fuggir, come uccelli in aria spesso
     Per vento o grandin, per folgore o tuono,
     E non dicevon l’uno all’altro: vienne,
     Chè per paura mettevon le penne.

143 E tanto fu per l’aiuto d’Orlando
     De’ Cristian nostri il furore e la rabbia,
     Che si vennon le squadre rassettando,
     Ed ognun par che gli spirti riabbia,
     Da ogni parte i Pagan ributtando;
     E spesso Antea si trovò quasi in gabbia:
     E così fecion queste bestie matte
     I tafani ingrassare e le mignatte.