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canto ventesimoquarto. 241

159 E non potè più dir, ma lacrimando
     Si levò in piè, tanto il dolor l’assalse,
     Ed abbracciò più volte e strinse Orlando:
     Non so se queste lacrime son false.
     Carlo nel volto si venne cambiando,
     Tanto il savio parlar co’ gesti valse.
     Orlando ginocchione e reverente,
     Gli domandò perdon molto umilmente.

160 Poi disse Carlo: Savio imbasciadore,
     Tu sia per molte cose il ben venuto;
     Del re Marsilio l’offerte e l’amore
     Accetto, e grazie rendo al suo saluto:
     E Bianciardin, se si partì a furore
     Per obbedire, ha fatto il suo dovuto;
     E non ricerco la cagion di questo,
     Con ciò sia cosa che non pare onesto.

161 Di quel che molte volte ragionamo,
     Credo tu il sappi, ed io me ne ricordo,
     Della pace, e di Spagna, e sa qui Namo,
     Che mai da quel ch’è giusto non mi scordo:
     E’ si partì, tu se’ venuto; e siamo
     Orlando e gli altri paladin d’accordo,
     Che voi tegnate tutti i regni ispani,
     Non come Mori, ma come Cristiani.

162 E la cagion, perchè e’ venne il Danese,
     Non fu nè per Antea nè per sospetto;
     Ed altra volta fien le cose intese,
     Come tu ancor di Bianciardino hai detto;
     E so che il re Marsilio alle mie imprese
     Aiuto darà sempre con effetto;
     Chè la salute di Spagna e di Francia,
     Credo che sia la pace e non la lancia.

163 E manderò qui il mio caro nipote
     A Siragozza, se bisogna, o Gano,
     Quantunque egli è contento come e’ puote
     Di dar la Spagna, anzi gli pare strano;
     E so che queste cose ti son note,
     Ch’acquistata l’avea con la sua mano;
     Ma voglio al re Marsilio esser fratello,
     Chè sai che in corte sua m’allevò quello.