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canto ventesimoquinto. 249

14 E scrisse al re Marsilio, che veniva
     Imbasciatore il signor di Maganza,
     Che porterà la palma con l’uliva,
     Che l’onorassi più sù che l’usanza;
     Che forse i suoi pensier verranno a riva,
     E insino a qui n’avea buona speranza,
     Se si mettessi diligenzia a questo:
     Ch’a bocca poi gli chioserebbe il testo.

15 Quando Marsilio intese come Gano
     Era mandato, come falsa rozza,
     Per onorarlo ogni signor pagano
     E tutta la sua corte insieme accozza:
     Intant: trapassando un colle, un piano,
     S’appressa Ganellone a Siragozza;
     Sì che Marsilio si partì in persona,
     E ognuno seguitava la corona.

16 Quindici miglia fuor della cittate
     Venne Marsilio incontro a Ganellone,
     Con tutte le sue gente ammaestrate,
     Che giunti, ognuno smonti dell’arcione;
     E molte ceremonie ebbe ordinate,
     Ed acconciossi in bocca Cicerone,
     E scese in terra, come appresso è giunto;
     Ma Ganellon sapea la soia appunto.

17 E disse: Che vuoi tu, Marsilio, fare?
     Non debbe al servo far per certo questo
     Il mio signor che mi dee comandare:
     E dismontato della sella, presto
     Si volle al re Marsilio inginocchiare,
     Se non ch’e’ disse: E’ non sarebbe onesto,
     Sendo mandato dal tuo imperatore.
     Ed abbracciârsi con sincero amore.

18 Tutti i baroni in terra inginocchiati
     Ganellone abbraccioron con gran festa;
     E poi ch’e’ furon tutti rimontati,
     Si trasse il re Marsilio una sua vesta
     Dove eran certi falcon ricamati,
     E misse al conte Gano indosso questa
     Con le sue man con gran magnificenzia,
     Per dimostrar maggior benivolenzia.