19 Poi gli dicea pel cammin ragionando:
Come sta Carlo? ch’è del duca Namo?
Ch’è d’Ulivier? ch’è del mio caro Orlando?
Ora ecco il nostro Gan qui ch’io tanto amo,
Ecco il tuo Bianciardino; e cavalcando
Avea sempre alla bocca o l’esca o l’amo:
E ’l traditor gli ride l’occhiolino,
Ed abbracciò più volte Bianciardino.
20 Ma poi che furon presso alla città,
L’alta regina e molte damigelle
Incontra venne, e grande onor gli fa;
E saltan tutte della sella quelle:
E Ganellon dicea Ser Benlesà:
Cadute in terra qua mi par le stelle,
O le ninfe fuggite di Diana.
Disse la dama: Che è di Gallerana?
21 Rispose il conte Gan: Magna regina,
Gallerana m’impose una imbasciata,
Che bench’ella sia fatta parigina,
Non ha la patria sua dimenticata;
E forse assalteravvi una mattina
A Siragozza, e non sarà aspettata,
Ch’ogni uccello aborrisce al suo nimico,
E riveder s’allegra il nido antico.
22 E nel partir mi diè questo gioiello;
Ma maggior cose disse arrecherebbe.
Rispose presto la reina a quello:
Gallerana farà quel ch’ella debbe,
Di riveder la patria e ’l suo fratello,
Che so che poi contento si morrebbe;
E ciò che manda lei, sia il ben venuto,
E così quel da ch’io l’ho ricevuto.
23 Per Siragozza si facevan balli,
E giuochi, e personaggi, e fuochi, e tresche,
E chi correva dinanzi a’ cavalli;
Buffoni e scoccobrin fanno moresche;
E gettan da’ balcon fior bianchi e gialli,
Le dame addosso alle gente francesche,
E tutti i moricin gridon per ciancia:
Mongioia, e Carlo, e San Dionigi, e Francia.