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250 il morgante maggiore.

19 Poi gli dicea pel cammin ragionando:
     Come sta Carlo? ch’è del duca Namo?
     Ch’è d’Ulivier? ch’è del mio caro Orlando?
     Ora ecco il nostro Gan qui ch’io tanto amo,
     Ecco il tuo Bianciardino; e cavalcando
     Avea sempre alla bocca o l’esca o l’amo:
     E ’l traditor gli ride l’occhiolino,
     Ed abbracciò più volte Bianciardino.

20 Ma poi che furon presso alla città,
     L’alta regina e molte damigelle
     Incontra venne, e grande onor gli fa;
     E saltan tutte della sella quelle:
     E Ganellon dicea Ser Benlesà:
     Cadute in terra qua mi par le stelle,
     O le ninfe fuggite di Diana.
     Disse la dama: Che è di Gallerana?

21 Rispose il conte Gan: Magna regina,
     Gallerana m’impose una imbasciata,
     Che bench’ella sia fatta parigina,
     Non ha la patria sua dimenticata;
     E forse assalteravvi una mattina
     A Siragozza, e non sarà aspettata,
     Ch’ogni uccello aborrisce al suo nimico,
     E riveder s’allegra il nido antico.

22 E nel partir mi diè questo gioiello;
     Ma maggior cose disse arrecherebbe.
     Rispose presto la reina a quello:
     Gallerana farà quel ch’ella debbe,
     Di riveder la patria e ’l suo fratello,
     Che so che poi contento si morrebbe;
     E ciò che manda lei, sia il ben venuto,
     E così quel da ch’io l’ho ricevuto.

23 Per Siragozza si facevan balli,
     E giuochi, e personaggi, e fuochi, e tresche,
     E chi correva dinanzi a’ cavalli;
     Buffoni e scoccobrin fanno moresche;
     E gettan da’ balcon fior bianchi e gialli,
     Le dame addosso alle gente francesche,
     E tutti i moricin gridon per ciancia:
     Mongioia, e Carlo, e San Dionigi, e Francia.