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canto ventesimoquinto. 261

74 E mentre spaventati eran costoro,
     Venne una folgor che cadde lor presso,
     La qual percosse di cima un alloro,
     Ed abbruciollo, e insino in terra è fesso.
     O Febo, come hai tu que’ bei crin d’oro
     Così lasciato fulminare adesso?
     Dunque i suoi privilegi il lauro or perde,4
     Che per ogni stagion suol parer verde?

75 Disse Marsilio: O Macon, che fia questo?
     Chè certo esser non può sanza misterio;
     O Bianciardino, io ti dirò il ver presto:
     Questo è cattivo augurio al nostro imperio.
     Intanto venne un tremuoto rubesto,
     Che scosse questo e quell’altro emisperio!
     Falseron si turbò tutto nel volto,
     Ed anco a Bianciardin non piacque molto.

76 Ma per paura nessun non si mosse:
     In questo mezzo sopra loro apparse
     Un vampo, che parea di fuoco fosse;
     E l’acque vidon traboccate e sparse
     Fuor della fonte, che parevon rosse;
     E ciò che quelle toccorno, tutto arse:
     Sì che dintorno abbruciò la gramigna,
     Chè l’acqua bolle, e pareva sanguigna.

77 Era disopra alla fonte un carrubbio,
     L’arbor, si dice, ove s’impiccò Giuda:
     Questo più ch’altro misse Gano in dubbio,
     Perchè di sangue gocciolava e suda,
     Poi si seccò in un punto i rami e ’l subbio,5
     Sì che di foglie si spogliava e muda;6
     E cascò in capo a Ganellone un pome,
     Che tutte quante gli arriccia le chiome.

78 Gli animal che nel parco eran rinchiusi
     Comincioron tra lor tutti a urlare;
     Poi si rivolson musi contra musi
     E insieme comincioronsi a cozzare.
     E così stetton gran pezzo confusi
     Marsilio e gli altri le cose a mirare,
     E non sapeva ignun quel che si facci,
     Tanto l’ira del ciel par che minacci.