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canto ventesimoquinto. 263

84 La folgor che l’alloro avea percosso
     Interpetrar si potea facilmente,
     Chè Cesare o poeta, e non uom grosso,
     Si solea coronarne anticamente;
     Però sarebbe un imperio rimosso:
     Poi disse un vecchio, tra loro sapiente,
     Che del carrubbio il caso era sì strano,
     Che lo lasciava interpetrare a Gano.

85 Questa parola a Gan dette terrore,
     Più che non fece il fatto per sè stesso:
     Non so se pur questo indovinatore
     Si disse a caso, come avviene spesso,
     O cognosceva Gan per traditore.
     Gan gli rispose: Egli è più tuo interesso
     Che ogni cosa a Marsilio distingua,
     Che si vorrebbe cavarti la lingua.

86 Riprese il re Marsilio il nigromante,
     E dette a tutti alla fine licenzia;
     Ed accordàrsi e’ si traessi avante
     Il tradimento con gran diligenzia,
     E che si metta la gente africante
     In punto, e tutta la lor gran potenzia:
     E sopra tutto ognun di loro intese
     Che si levassi di Spagna il Danese.

87 Intanto Ganellone a Carlo scrisse,
     Com'egli aveva la pace ordinata,
     E bisognava che Orlando venisse
     In Roncisvalle con la sua brigata;
     E del tributo e d’ogni cosa disse,
     E replicò tutta la intemerata;
     E che venissi appiè di Porto presto,
     Dove aspettar Marsilio pare onesto.

88 E disse: Il re Marsilione ti manda
     Un don che sare’ degno in cielo a Giove,
     Una ricca corona, una grillanda,
     Con un carbonchio mai più visto altrove,
     Che riluce la notte d’ogni banda,
     Quand’ella è bene oscura, e quando e’ piove;
     Ed oltra questo una ricca collana
     Di pietre preziose a Gallerana.