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canto ventesimoquinto. 277

154 Ma la natura angelica corrotta
     Non può più ritornar perfetta e intera,
     La qual peccò come natura dotta,
     E per questa cagion poi si dispera;
     Chè, se quel savio non rispose allotta,
     Quando Pilato domandò quel ch’era
     La verità, fu che l’aveva appresso,
     Sì che questo ignorar gli fu dimesso.

155 Se non che nel ben far perseverato
     Non ha costui quando le man s’imbianca;
     E non sarebbe anche Giuda dannato,
     Che si pentì, ma la speranza manca,
     Sanza la qual nessun mai fia salvato,
     E ’l detto d’Origen non lo rifranca;
     Nè sia chi l’altra opinion concluda,
     In diebus illis salvabitur Juda.

156 Dunque un primo è nel ciel che tutto intese,
     Da cui tutte le cose son create,
     E creando, e dannando, non ci offese,
     Ma fe tutto in justizia e in veritate;
     E ’l futuro e ’l preterito ha palese,
     Chè, come io dissi, è di necessitate
     Che tutto appaia a quel signor davante,
     Da cui procede ogni virtù informante.

157 E poi che del mio mal pur la cagione,
     Come maestro, m’hai costretto io dica,
     Tu vorresti sapere or la ragione
     Per che e’ durassi invan questa fatica,
     Poi che vedea la nostra dannazione:
     Sappi che segnata è questa rubrica,
     E riservata a quel signor giocondo;
     Sì ch’io nol so, però non ti rispondo.

158 Nè detto l’ho per metterti alcun dubbio
     Ma perch’io veggo che la umana gente
     Di molti errori avvolge a questo subbio,
     E vuol saper, sanza saper niente,
     Onde esca il Nil, non pur solo il Danubbio:
     Basta che tutto ha fatto giustamente,
     E giusto e vero è quel Signor di sopra,
     Come dice il Salmista, in ciascun’opra.