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canto ventesimoquinto. 283

184 Poi finse insino a Carlo dovere ire,
     Con certi scaltrimenti suo’ malvagi,
     E seppe al re Marsilio riuscire,
     Per altra via tornato come i Magi,
     E d’Orlando e del campo a referire,
     Ch’alloggiato era con assai disagi;
     Di guardie, ascolte, e d’ogni cosa narra,
     Che non vi si vedea solo una sbarra.

185 Fece Marsilio una bella orazione
     La notte a tutti, dove e’ fecion alto,
     E cominciò: Laudato sia Macone:
     Chè sempre quello invoco, onoro, esalto;
     E’ convien pur ch’io dica la cagione,
     Prima noi siam co’ Cristiani all’assalto,
     Per quel ch’io v’ho condotti in questo loco;
     E vorrei molto dir, ma il tempo è poco.

186 Ognun sa quanto tempo combattuto
     Io ho con Carlo Magno e co’ Cristiani,
     Tanto che vecchio son fatto e canuto,
     E quanto sangue sparto è de’ Pagani,
     E non ho con Orlando mai potuto
     Essere un tratto in su’ campi alle mani,
     Ch’io sarei forse fuor d’un lungo affanno
     Che s’apparecchia o con salute o danno.

187 Tre volte m’ha la Spagna ribellata,
     Come sapete, e parte d’Aragona;
     Appena Siragozza m’è restata;
     Ed or pensava mettersi corona
     Di tutti i nostri regni e di Granata,
     E in Roncisvalle si truova in persona:
     E Macon credo che dal ciel lo mandi,
     E che la fede sua ci raccomandi.

188 Io mandai Bianciardin, poi Falserone
     In Francia a Carlo, a domandargli pace,
     Poi ch’io vidi la mia distruzione;
     Ma so che al nostro Dio questo non piace;
     E la risposta fu per Ganellone,
     Come sapete, superba ed audace,
     Che non volea che torni al Paganesimo
     La Spagna, o sbattezzar chi avea battesimo.