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canto ventesimoquinto. 295

244 Io ho queste parole ritrattate
     Ch’io dissi, e forse Malgigi m’appunta,
     Che molte cose non son rivelate
     Al Figliuol, quanto alla natura assunta:
     Sì ch’io parlavo dell’umanitate;
     Ma la natura divina congiunta,
     Perch’ella è sol la somma sapienzia,
     Ogni cosa ab initio ha in sua presenzia.

245 Disse Rinaldo: Or su, troviam Orlando;
     Poi, perchè di’ colaggiù si fa guerra,
     Io voglio andar que’ paesi cercando,
     E passar questo mar dove Ercul erra,
     Chè vivere e morir vuolsi apparando:
     Ma or passar ci convien Giubilterra;
     Lasciami un poco smontar dell’arcione.
     Poi scese, e fe’ questa breve orazione.

246 Se tu se’, Signor mio, deliberato
     Ch’io vadi in Runcisvalle, abbi merzè
     Di me che son da’ nimici portato
     Per soccorrere Orlando e la tua fè:
     Ricórdati che il mare fu allargato,
     Per salvar la tua gente a Moisè;
     E spira in me quel per me non intendo,
     In manus tuas me valde commendo.

247 Come Baiardo alla riva fu presso,
     Parve che tutto di fuoco sfavilli,
     Poi prese il salto ed in aer si fu messo;
     Ma così alto non saltono i grilli;
     E non è tempo di segnarsi adesso,
     Chè non piace al demon nostri sigilli:
     O potenzia del ciel, poi ch’a te piacque,
     Maraviglia non fia saltar quest’acque.

248 Ricciardetto ebbe paura e riprezzo,
     Perchè tanto alto si vide di botto,
     Che si trovò con Farfarello al rezzo,
     E dubitò; chè si vide il Sol sotto,
     Come s’e’ fussi tra ’l cielo e lui in mezzo;
     E ricordossi d’Icaro del botto,
     Per confidarsi alle incerate penne;
     E con fatica alla sella s’attenne.