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canto ventesimosesto 319

24 S’io avessi pensato, il traditore
     Marsilio in questo modo a vicitarmi
     Venissi, come ingiusto e peccatore,
     Io arei preparato i cori e l’armi;
     Ma perchè sempre gli portai amore,
     Credea che così lui dovessi amarmi,
     E che fussi sepolto ogni odio antico:
     Chè qualche volta ognun pur torna amico;

25 Salvo che lui, che per viltà perdona,
     E resta pur la mente acerba e cruda:
     Pertanto io gli confermo la corona
     De’ traditori, e scuso or Gano e Giuda,
     Ch’io non truovo in lui cosa che sia buona;
     Ma fa come sparvier che in selva muda,
     Che t’assicura, e par che e’ sia la fede;
     Poi, se tu il lasci un tratto, mai non riede.

26 Ecco la fede or di Melchisedecche,
     Un uom che è di più lingue che Babelle,
     Da dirgli Alecsalam Salamalecche,
     Proprio un altro Cain che invidi Abelle:
     Ma forse sarò io nuovo Lamecche,
     Forse lo spirto è quel d’Achitofelle,
     Forse di Marsia, che s’asconde al cielo
     Di corpo in corpo, anzi al signor di Delo.

27 Or pur chi inganna ognun anche sè inganna,
     E non sia ignun che a sè stesso si celi,
     Perchè pur sè medesimo al fin danna:
     Se voi sarete alla morte fedeli,
     Ristoreravvi con la dolce manna
     Il Signor vostro degli amari feli;
     E se il pan del dolor mangiato avete,
     Stasera in paradiso cenerete;

28 Come disse quel Greco anticamente2
     Lieto a’ suoi già, ma disse — Nello inferno.
     Vedete in su la grata paziente
     Lorenzo, per fruir quel gaudio eterno:
     Volgi quest’altro: o giusto amor fervente!
     Che non sentia d’altro foco lo scherno:
     Chè dolce cosa è volontaria morte,
     Quando l’anima è in Dio costante e forte.